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Recensione L’ultimo Arrivato di Marco Balzano

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Per cominciare questa nuova avventura (da scrittrice a lettrice, anche se in ordine cronologico nella mia vita le due fasi sono invertite) ho deciso di recensire un libro appena finito, ovvero L’Ultimo Arrivato di Marco Balzano, il vincitore della 53° edizione del Premio Campiello. Per chi non lo sapesse, il premio Campiello è un premio abbastanza prestigioso per uno scrittore (certo, non ha l’attenzione mediatica del Premio Strega, ma viene subito dopo, trust me). Bando alle ciance; comincio con il dire che questo libro mi è piaciuto molto, a differenza di molti altri romanzi che vincono premi ma mi risultano noiosi e prolissi.

L’ultimo arrivato parla di Ninetto pelleossa, un ragazzino siciliano che, a soli nove anni, emigra da un paese dell’entroterra per avventurarsi con Giuvà, un amico di famiglia, nella “lontanissima” e sconosciuta Milano. Ninetto va via da casa perchè la mamma si è sentita male a seguito di un ictus e il padre l’ha consegnata ad una sorta di ospizio. Il ragazzino si trova quindi costretto inizialmente a lasciare la scuola e l’adorato maestro Vincenzo per “travagghiare” (lavorare, termine che ritorna spesso nel libro), e successivamente parte per Milano in cerca di un futuro migliore. Non svelerò cos’altro succede, ma poichè il libro si apre con Ninetto in carcere (quindi non è spoiler, giuro!) quasi 50 anni dopo i fatti che si appresta a raccontare, diciamo che da lettrice la curiosità di capire come ci fosse finito ha fatto sì che divorassi il libro in pochi giorni.(è comunque 200, anzi, 201 pagine, niente di eccessivo.).

 

Parlando del perchè questo libro mi è piaciuto (si, mi è piaciuto e ultimamente è una cosa rara), ci sono diverse considerazioni che mi sento di fare (e in cui cercherò di rivelare il meno possibile riguardo la trama); la prima è la capacità di Balzano di raccontare i fatti della vita di Ninetto con una voce largamente credibile. Balzano sbaglia i congiuntivi, i costrutti della frase e usa parole semplici, perchè Ninetto è riuscito a raggiungere la licenza media solo dopo anni di fatica e spaesamento al Nord, e penso che questo sia il primo segno di un REALISMO che nella letteratura odierna spesso manca. Poi sì, parliamo dell’elefante nella stanza. L’EMIGRAZIONE. Balzano tocca corde sopite del cuore di molti meridionali che negli anni 50/60 hanno lasciato la loro casa, la loro famiglia, il loro dialetto per raggiungere una città il più delle volte sconosciuta, dove faticavano persino a capire la “lingua”, che pure era sempre italiano ma allo stesso tempo era quasi straniera, e questo perchè fondamentalmente non avevano alternativa. Perchè l’alternativa tra partire e rimanere a morire di fame, di disillusione, di niente, non c’è mai. E allora Ninetto e Giuvà preferiscono andare a Milano, passare la prima notte al freddo, le successive su materassi gettati in terra all’interno di casermoni che avevano il solo scopo di raggruppare tutti i “terroni” o i “napulì” per distanziarli chiaramente dalla gente del Nord.

Non so se Balzano abbia voluto lanciare indirettamente un messaggio a tutti quelli che si sono dimenticati della Storia, o a tutti quelli che non l’hanno vissuta in prima persona e quindi non si sentono toccati da tutto questo, ma a me il messaggio è arrivato. Perchè il pregiudizio c’è sempre stato, solo che ora ha cambiato direzione e/o colore; perchè la stessa reticenza ad offrire lavoro ai meridionali, se non per sottopagarli, è la medesima che noi cittadini italiani utilizziamo verso gli extracomunitari (“Currado a tavola diceva che i commercianti del nord si erano arricchiti con la fame dei terroni”); perchè il racconto del viaggio dal Sud al Nord che fa Balzano (treni strapieni, corpi calpestati) è sicuramente meno mortale ma ugualmente poco dignitoso come i viaggi che i ragazzi stranieri fanno tutti i giorni per venire da noi. Perchè è questa l’ennesima, e forse la più importante, analogia: Balzano racconta di fuga dalle proprie radici, fuga che causa sempre dolore anche quando si affievolisce in favore di una presa di coscienza( Milano, o l’Italia, mi permettono di vivere in maniera molto più dignitosa di come avrei potuto fare a casa mia) in vista di un futuro migliore. Ed è qui che Balzano ingrana quella marcia in più,  che perlomeno io penso di aver colto; Ninetto arriva a Milano con paura, e con speranza. E trova lavoro, e trova una “casa”, ma la sua vita ha veramente più dignità di quella lasciata? E quanta bile dovrà ingoiare, quante volte dovrà abbassare la testa, quanto dovrà “travagghiare” per ottenere questa dignità, quasi come non fosse prerogativa di tutti gli uomini?

“L’ultimo arrivato” mi lascia questo, e un’emozione di sottofondo: Ninetto cresce, tramite il racconto del Ninetto grande conosciamo quello piccolo, e quello che mi è rimasto è la sensazione di nostalgia che spesso vediamo sul volto degli anziani ma che non sappiamo riconoscere. La sensazione che spesso le cose vadano come devono andare, anche se non è esattamente il modo in cui volevamo che andassero. E quindi concludo dicendo che sì, per me Marco Balzano il Premio Campiello se lo è meritato tutto.

Voto: 4,5/5

Vi lascio con alcune delle frasi per me più belle del libro e aspetto di sapere che cosa ne pensiate! 🙂

 

  • “Così quando ero a lavoro la mente cercava le cose che potevamo avere in comune, perché sono le cose in comune che mi fanno innamorare, come di Currado il fatto che aveva la madre inferma e di Antonio che aveva un sogno irrealizzabile come il mio, che volevo diventare poeta e maestro elementare.”.

 

  • “Disse di scrivere a casa perché chi se ne va, per una ragione o per un’altra, in fretta si dimentica di chi rimane”.

 

  • “Amici veri mi sa che si può essere solo da picciriddi, quando si è puliti dentro e non si fanno calcoli di interesse né altre oscenità.”

 

  • “Così, lentamente, poco alla volta, riprendo calore. Perchè quando mi perdo nei miei racconti non sono più corpo, ossa muscoli. Solo anima e voce.”

 

  • “Gli amici non esistono, esistono solo persone con cui passare un pò di tempo quando non vuoi pensare alle scassature di minchia”

 

  • “L’aria sulla faccia a un certo punto diventa vento e non mi sento più male perchè non mi sento. Sono aria e basta. Solo aria sulla faccia e respiri aperti.”

 

  • “E’ una disdetta essere figli unici. Ti manca una parola importante nel vocabolario, fratello. Una parola che vuol dire tantissime cose eccezionali e infattise ne sono appropriati non solo preti e politici, persone di cui non mi fido, ma anche santi come Francesco d’Assisi e scrittori celebri

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